giovedì 25 giugno 2009

ECO DI BERGAMO -25/06/09- FESTA POST VOTO. E IL PRESIDENTE DIVENTA BLUESMAN

Gli esperti lo sanno: le chitarre di alta qualità, più invecchiano più migliorano. È una questione di legno e cose così. Le altre, invece, più invecchiano più peggiorano. Ma non sempre. Perché ogni tanto capita tutto il contrario. Ettore Pirovano, uno che non è che non possa scegliere, ma che si trova irrimediabilmente innamorato di un'acustica quasi-Gibson, lo sa bene. «È una copia giapponese, ce l'ho dal 1975. È un regalo che mi ha fatto mia moglie Mariuccia poco dopo le nozze e che con me ha girato mezzo mondo. Oggi suona meglio di una chitarra da 10 mila euro. Fantastica». Ieri la quasi-Gibson non era con lui, ma, a sorpresa, Pirovano ha imbracciato una Fender telecaster ed è salito sul palco del Bobadilla. L'occasione? Il concerto jazz-blues organizzato in onore del neoeletto presidente della Provincia e di Claudia Terzi, anche lei fresca di elezione a sindaco di Dalmine. In platea, pienone di lumbard, (dai parlamentari Giacomo Stucchi, Nunziante Consiglio, Matteo Salvini e Paolo Grimoldi) ai consiglieri comunali Daniele Belotti e Silvia Lanzani, con particolare partecipazione della sezione di Dalmine che ha organizzato la serata, ma pure molti semplici amici e parenti. Presente anche il sindaco di Bergamo Franco Tentorio. Tutti ad applaudire mentre Pirovano, accompagnato dalla Blues Band, attaccava con gli accordi di «Con te sto bene», di Battisti. Poi è la volta di Route 66, il pubblico sfodera videofonini, e giù ancora applausi. Perché che il presidente fosse patito di musica lo sapevano più o meno tutti, ma che fosse anche un interprete di livello era notizia di nicchia. Almeno fino a ieri. Per raccontare il Pirovano musicista bisogna partire da capo. Anzi, da cinque: gli anni che aveva quando ha ascoltato i suoi primi dischi jazz. «Mentre gli altri ascoltavano "Papaveri e papere", mio padre in casa metteva i brani di Gerry Mulligan, Louis Armstrong, Charlie Christian. Quando ero ragazzino è arrivato il primo "padellone" dei Beatles, con gli amici ci siamo imparati tutte le canzoni. Però non sapevamo suonare: la mia prima chitarra me la regalò la mamma, quando avevo 16 anni. Costava ottomila lire». Su quella chitarra è iniziato lo studio. «Ma non con le lezioni - dice -, non mi piaceva studiare nemmeno i libri, figuriamoci... No, facevo a orecchio. Sentivo le canzoni, cercavo di riprodurle. Tutta la mia compagnia si dette alla musica». Così in quel di Caravaggio è nato il complessino: Ettore Pirovano alla chitarra, Angelo Parolari alla batteria, Giuseppe Brigatti al basso, alle tastiere Aldo Bufelè («l'unico non del paese, era di Cerma») e Alberto Tadini, voce. Tadini, quello che qualche anno dopo con la sigla di Goldrake avrebbe venduto un milione di copie. «Ascoltavamo i brani nuovi, stavamo sempre sintonizzati su Radio Lussemburgo - spiega il presidente e deputato leghista -. Suonavamo alle feste e abbiamo iniziato a fare dei concorsi nella Bassa. Andavamo piuttosto bene. E poi avevamo dei gran cori. Ecco, sì, lo scriva. I cori ci venivano meglio di quelli dei Beatles», sorride. E ha le prove: «Su youtube ci trova». Basta digitare «Le Corde Felici», il nome del complesso negli anni sessanta. «Per i gruppi andavano di moda i nomi in inglese, infatti un giorno eravamo i "Boss", un giorno qualcosa d'altro. Poi una sera giornalista arriva e chiede: chi siete? Qualcuno improvvisa: gli Happy Strings. Peccato che quello abbia fatto la traduzione sul giornale, così ci è restato questo nome un po' assurdo». E le Corde Felici non stavano a guardare l'erba che cresce: «Avevamo 18 anni e ci infilavamo nei bar dei musicisti per ascoltare e imparare. A Milano, in corso Europa, ce n'era uno speciale. Sopra c'era il Clan Celentano». Le chiamate dalle sale da ballo non mancavano, mentre tutti lavorano o studiano. Poi lo stop: «Abbiamo smesso nel '70, quando sono partito per il servizio militare». Ma i contatti con gli ex delle Corde Felici restano (ieri alla festa era presente anche Brigatti), così come l'amore per la musica non si cancella. «Nel 1987 lavoravo in Congo per la costruzione di una delle residenze di Mobutu (Pirovano è consulente per società internazionali di costruzioni, ndr). C'erano dei ragazzi di colore che a fine giornata lasciavano il cantiere e suonavano: erano bravissimi, ma con strumenti veramente scalcagnati. Mi son detto: io rischio. Ho chiesto un contributo all'entourage di Mobutu, hanno detto sì. Ci hanno comprato amplificatori americani e strumenti, la sera suonavamo. Eravamo nel mezzo della foresta, o quasi». Insomma, una signora passione, che non si sopisce. E che Claudio Angeleri, direttore del Cdpm e musicista di fama, ben conosce. «Ettore Pirovano è un esperto del settore e un ottimo musicista - spiega -, io l'ho conosciuto così ancor prima che come politico. E proprio in onore della comune passione per la musica ho pensato di fargli un regalo, partecipando a questo concerto, da musicista a musicista». Della partita - condivisa dai sostenitori lumbard - veri pezzi da novanta dell'area musicale, da Gabriele Comeglio a Emilio Soana, fino a Paola Minzani. Così, nel mix fra musica e politica, è nata una serata diversa. Sul palco un Pirovano per l'occasione meno presidente e più bluesman. Sempre lumbard, ma con l'anima soul.

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