giovedì 31 agosto 2017

L'ECO DI BERGAMO - 31/07/17 - Verso il referendum Castelli lancia il «porta a porta»



Alla Berghèm fest, il presidente regionale del comitato ha posto l’accento sul lavoro dei militanti «Non è il referendum della Lega, è il referendum dei lombardi». Così il senatore Giacomo Stucchi ha parlato, dal palco di Alzano Lombardo, di quello che - a più voci - è stato definito un «appuntamento storico» (del 22 ottobre) per la Lombardia e il Veneto. E, la serata pada-bardia potrà diventare «una Regione a Statuto speciale». Ha parlato citando la Costituzione, spiegando alla platea che, con la vittoria del sì, si apre la trattativa con il Governo per negoziare (così come previsto dalla Costituzione), quattro materie  esclusive: «Giustizia di pace, tutela dei beni culturali, tutela dei beni ambientali, e istruzione». E, la Lombardia, sulla bilancia della trattativa, ha il peso del residuo fiscale: «56 miliardi – ha ribadito Galli – una rapina fiscale che non ha eguali nel mondo». Castelli, certo che «vincerà il sì», ha ricordato quanto sia importante la percentuale dei votanti: «Se Zaia e Maroni si presentano solo con il 30% dei votanti il Governo ci snobba». Quindi «dobbiamo fare come i testimoni di Geova, bussare a ogni porta». Sul territorio «sto raccogliendo il sentimento favorevole all’autonomia», ha affermato Vanalli. Che ha puntato l’indice sul Pd che «come facciata si schiera per l’autonomia, ma poi lavora per far andare meno persone possibili a votare». Vanalli ha poi ribadito che il referendum è, dal punto di vista economico, anche «una spinta: i soldi che andranno a Roma, e vogliamo che siano sempre meno, dovranno rendere di più di adesso». Galli ha poi sottolineato come le trattative (del passato) non abbiano dato risposte positive per «l’ostruzionismo degli apparati burocratici romani», che temono la perdita di potere.

giovedì 24 agosto 2017

ECO DI BERGAMO - 24/08/17 - "L'ALLERTA E' MASSIMA MA A BERGAMO POCHE FORZE D'ORDINE



Allerta terrorismo: livello 2. A Bergamo come in tutto il resto d’Italia. Allerta due su una scala crescente: 2 è il massimo. Poi c’è il livello uno, che – nei protocolli della sicurezza nazionale – affronta la fase post attentato. Non è una novità che viene dalla strage sulle Ramblas di Barcellona: siamo a livello 2 dalla strage del Bataclan, Parigi, 13 novembre 2015. Significa che da allora il sistema che garantisce la sicurezza della nazione è sempre rimasto ai massimi. Ma non significa che sia da allora lo stesso: ogni giorno c’è un nuovo potenziale scenario che va, sulla carta, affrontato, previsto. Oggi camion e auto sulla folla, domani la Barbie-bomba su un volo. Oggi l’attacco a un concertone o a un partitone, domani un attacco «cyborg » o «in remote» che il terrorismo può scatenare senza nemmeno uscire di casa. Bergamo non è più al sicuro di altre aree del Paese. Anzi. Nel senso che «il rapporto tra il numero di abitanti e quello degli uomini e delle donne che si occupa di sicurezza, nella nostra provincia è il più basso d’Italia». A tornare sulla «nuova» allerta è Giacomo Stucchi, senatore bergamasco in quota Lega, presidente del Copasir, il Comitato interparlamentare per la sicurezza nazionale, ponte di raccordo tra i Servizi e, appunto, il Parlamento. Senatore, dobbiamo aver paura? «Siamo pronti». Cosa significa? «Che gli scenari non sono cambiati da Barcellona, sono gli stessi dal Bataclan, da Nizza, Bruxelles, Londra, Berlino. Il livello 2 di allerta contro il terrorismo di matrice islamica prevede che potrebbe succedere anche in Italia in qualsiasi momento. Ma anche che il sistema che garantisce la sicurezza della nazione è, da tempo, al lavoro con il massimo impegno: intelligence e forze dell’ordine stanno dando il massimo sforzo per non lasciar cadere niente: ogni segnalazione, ogni pista, ogni sospetto, ogni informazione viene vagliata e “organizzata” per passare eventualmente all’azione. Il massimo però non significa che sia sufficiente». Spieghi. «Che ci sono mille modi per fare un attentato terroristico. Finora tutto ciò che è stato fatto ha funzionato». Significa che ci siamo andati vicino? «Nessuna progettualità concreta. Finora. C’è stato chi ci ha pensato, ma è subito stato individuato». Perché, come si chiedono in molti, in Italia finora non è successo? Ha funzionato l’apparato della sicurezza o c’è anche altro? L’Italia solo Paese di transito, pié «accogliente»? Perché? «Diciamo che in Italia chi si occupa di sicurezza nazionale ha lavorato anche sulla base di un back ground ben preciso: ricordiamo gli Anni di piombo, il terrorismo in casa noi l’abbiamo già avuto e l’abbiamo combattuto. Quindi, al controllo capillare del territorio e a un sistema informativo che funziona siamo abituati. Certo, oggi i soggetti da controllare aumentano di giorno in giorno, e gli uomini in campo per farlo sono sempre gli stessi. Il numero è sempre lo stesso». A proposito, Bergamo. L’altro giorno il prefetto ha sollecitato i sindaci sull’allerta terrorismo. «La provincia di Bergamo è in fondo alla classifica nazionale per numero di forze dell’ordine rispetto agli abitanti. I sindaci non possono fare nulla, non hanno alcun numero da mettere in campo. È al Governo che si deve chiedere ». Ma noi, sul fronte potenziali attacchi terroristici, come siamo messi? «Come tutti gli altri. Quindi non dirò nessun target in particolare. Luoghi affollati, grandi eventi, luoghi di aggregazione è chiaro che sono “prede” ideali per chi punta a seminare il terrore. Ovvio, lo scalo di Orio,ovviamente presidiatissimo. Però, ripeto, Bergamo come ovunque». Barriere e fioriere, servono? «Servono. Certo, troverei assurdo quel che ho visto un anno fa a Bruxelles dove entrare ai Mercatini era come stare in zona di guerra. Allora no. Servono, ma - e ripeto cose che vedono tutti – ci sono mille modi per fare un attentato. Io non credo che dietro Barcellona ci sia una regia “forte”: Daesh ha perso Raqqa e da là grandi direttive “dirette” non ne arrivano più. Ma l’eredità del jihad germina ovunque e, più o meno, imprevedibilmente». L’imam Es Satty che sarebbe stato l’ispiratore della cellula dei ragazzini di Barcellona era già noto e, pare, espulso, quando un giudice ha deciso che poteva restare in Spagna. Come stiamo in Italia a legislatura in merito? «Capo primo, se uno dall’Italia viene espulso per motivi di sicurezza nazionale, in Italia non torna più. Detto questo, alla luce di quel che succede, va aumentata la casistica dei reati che portano all’espulsione dal Paese: sono solo 70. Un soggetto che pubblicamente sul web inneggia all’Isis, va mandato a casa». I social amplificano l’allarme e anche se l’altro giorno un’analisi stimava – con un necessario cinismo - che il terrorismo di matrice islamica sta mietendo sempre meno vittime dunque si sta indebolendo, l’impressione non è certo quella. Cosa dobbiamo fare? «Niente di più, niente di meno di ciò che s’è  sempre fatto. Occhi aperti, con la certezza che in Italia contro il terrorismo si fa il massimo». Quindi? «Quindi, siamo pronti»..