Alla Berghèm fest, il
presidente regionale del comitato ha posto l’accento sul lavoro dei militanti «Non
è il referendum della Lega, è il referendum dei lombardi». Così il senatore
Giacomo Stucchi ha parlato, dal palco di Alzano Lombardo, di quello che - a più
voci - è stato definito un «appuntamento storico» (del 22 ottobre) per la
Lombardia e il Veneto. E, la serata pada-bardia potrà diventare «una Regione a Statuto speciale». Ha parlato
citando la Costituzione, spiegando alla platea che, con la vittoria del sì, si
apre la trattativa con il Governo per negoziare (così come previsto dalla
Costituzione), quattro materie esclusive:
«Giustizia di pace, tutela dei beni culturali, tutela dei beni ambientali, e
istruzione». E, la Lombardia, sulla bilancia della trattativa, ha il peso del
residuo fiscale: «56 miliardi – ha ribadito Galli – una rapina fiscale che non
ha eguali nel mondo». Castelli, certo che «vincerà il sì», ha ricordato quanto
sia importante la percentuale dei votanti: «Se Zaia e Maroni si presentano solo
con il 30% dei votanti il Governo ci snobba». Quindi «dobbiamo fare come i
testimoni di Geova, bussare a ogni porta». Sul territorio «sto raccogliendo il
sentimento favorevole all’autonomia», ha affermato Vanalli. Che ha puntato l’indice
sul Pd che «come facciata si schiera per l’autonomia, ma poi lavora per far
andare meno persone possibili a votare». Vanalli ha poi ribadito che il
referendum è, dal punto di vista economico, anche «una spinta: i soldi che
andranno a Roma, e vogliamo che siano sempre meno, dovranno rendere di più di
adesso». Galli ha poi sottolineato come le trattative (del passato) non abbiano
dato risposte positive per «l’ostruzionismo degli apparati burocratici romani»,
che temono la perdita di potere.
giovedì 31 agosto 2017
giovedì 24 agosto 2017
ECO DI BERGAMO - 24/08/17 - "L'ALLERTA E' MASSIMA MA A BERGAMO POCHE FORZE D'ORDINE
Allerta
terrorismo: livello 2. A Bergamo come in tutto il resto d’Italia. Allerta due
su una scala crescente: 2 è il massimo. Poi c’è il livello uno, che – nei
protocolli della sicurezza nazionale – affronta la fase post attentato. Non è
una novità che viene dalla strage sulle Ramblas di Barcellona: siamo a livello
2 dalla strage del Bataclan, Parigi, 13 novembre 2015. Significa che da allora
il sistema che garantisce la sicurezza della nazione è sempre rimasto ai
massimi. Ma non significa che sia da allora lo stesso: ogni giorno c’è un nuovo
potenziale scenario che va, sulla carta, affrontato, previsto. Oggi camion e
auto sulla folla, domani la Barbie-bomba su un volo. Oggi l’attacco a un
concertone o a un partitone, domani un attacco «cyborg » o «in remote» che il
terrorismo può scatenare senza nemmeno uscire di casa. Bergamo non è più al
sicuro di altre aree del Paese. Anzi. Nel senso che «il rapporto tra il numero
di abitanti e quello degli uomini e delle donne che si occupa di sicurezza,
nella nostra provincia è il più basso d’Italia». A tornare sulla «nuova»
allerta è Giacomo Stucchi, senatore bergamasco in quota Lega, presidente del
Copasir, il Comitato interparlamentare per la sicurezza nazionale, ponte di
raccordo tra i Servizi e, appunto, il Parlamento. Senatore, dobbiamo aver
paura? «Siamo pronti». Cosa significa? «Che gli scenari non sono cambiati da Barcellona, sono gli stessi
dal Bataclan, da Nizza, Bruxelles, Londra, Berlino. Il livello 2 di allerta contro
il terrorismo di matrice islamica prevede che potrebbe succedere anche in
Italia in qualsiasi momento. Ma anche che il sistema che garantisce la
sicurezza della nazione è, da tempo, al lavoro con il massimo impegno:
intelligence e forze dell’ordine stanno dando il massimo sforzo per non lasciar
cadere niente: ogni segnalazione, ogni pista, ogni sospetto, ogni informazione viene
vagliata e “organizzata” per passare eventualmente all’azione. Il massimo però
non significa che sia sufficiente». Spieghi. «Che ci sono mille modi per fare un attentato
terroristico. Finora tutto ciò che è stato fatto ha funzionato». Significa che ci siamo
andati vicino? «Nessuna progettualità concreta. Finora. C’è stato chi ci ha
pensato, ma è subito stato individuato». Perché, come si chiedono in molti, in Italia finora
non è successo? Ha funzionato l’apparato della sicurezza o c’è anche altro? L’Italia
solo Paese di transito, pié «accogliente»? Perché? «Diciamo che in
Italia chi si occupa di sicurezza nazionale ha lavorato anche sulla base di un
back ground ben preciso: ricordiamo gli Anni di piombo, il terrorismo in casa
noi l’abbiamo già avuto e l’abbiamo combattuto. Quindi, al controllo capillare
del territorio e a un sistema informativo che funziona siamo abituati. Certo,
oggi i soggetti da controllare aumentano di giorno in giorno, e gli uomini in
campo per farlo sono sempre gli stessi. Il numero è sempre lo stesso». A proposito, Bergamo. L’altro
giorno il prefetto ha sollecitato i sindaci sull’allerta terrorismo. «La provincia di
Bergamo è in fondo alla classifica nazionale per numero di forze dell’ordine
rispetto agli abitanti. I sindaci non possono fare nulla, non hanno alcun
numero da mettere in campo. È al Governo che si deve chiedere ». Ma noi, sul fronte potenziali
attacchi terroristici, come siamo messi? «Come tutti gli altri. Quindi non dirò
nessun target in particolare. Luoghi affollati, grandi eventi, luoghi di
aggregazione è chiaro che sono “prede” ideali per chi punta a seminare il
terrore. Ovvio, lo scalo di Orio,ovviamente presidiatissimo. Però, ripeto,
Bergamo come ovunque». Barriere e fioriere, servono? «Servono. Certo, troverei assurdo quel che
ho visto un anno fa a Bruxelles dove entrare ai Mercatini era come stare in
zona di guerra. Allora no. Servono, ma - e ripeto cose che vedono tutti – ci
sono mille modi per fare un attentato. Io non credo che dietro Barcellona ci
sia una regia “forte”: Daesh ha perso Raqqa e da là grandi direttive “dirette” non
ne arrivano più. Ma l’eredità del jihad germina ovunque e, più o meno,
imprevedibilmente». L’imam Es Satty che sarebbe stato l’ispiratore della cellula dei
ragazzini di Barcellona era già noto e, pare, espulso, quando un giudice ha
deciso che poteva restare in Spagna. Come stiamo in Italia a legislatura in
merito? «Capo primo, se uno dall’Italia viene espulso per motivi di
sicurezza nazionale, in Italia non torna più. Detto questo, alla luce di quel
che succede, va aumentata la casistica dei reati che portano all’espulsione dal
Paese: sono solo 70. Un soggetto che pubblicamente sul web inneggia all’Isis,
va mandato a casa». I social amplificano l’allarme e anche se l’altro giorno un’analisi
stimava – con un necessario cinismo - che il terrorismo di matrice islamica sta
mietendo sempre meno vittime dunque si sta indebolendo, l’impressione non è
certo quella. Cosa dobbiamo fare? «Niente di più, niente di meno di ciò che s’è
sempre fatto. Occhi aperti, con la
certezza che in Italia contro il terrorismo si fa il massimo». Quindi? «Quindi, siamo
pronti»..
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