mercoledì 5 novembre 2008

ECO DI BERGAMO - 05/11/08 - "SANTITA', SIAMO VENUTI IN BICI"

di Carlo Dignola

«Il Papa pensava che Bergamo-Roma fossero 500 chilometri. "Santità – gli ho detto –, non vorrei correggerla ma… sono 752". E lui: "Tutti in bici? Come avete fatto!?"». Quelli della Fondazione Bosis, che segue i malati psichici, in questi dieci anni ci hanno abituati alle loro imprese un po' folli ma andare in tre giorni da Bergamo a Roma su due ruote è un mezzo Giro d'Italia. Pier Giacomo Lucchini, l'allenatore morale del team, spiega l'impresa con i suoi modi spicci: «I motivi sono tre: il 2008 è il nostro decennale, abbiamo voluto unirci al pellegrinaggio diocesano nel 50° dell'elezione di Papa Giovanni, e poi questo tipo di avventure fa parte del nostro "pane quotidiano", del nostro lavoro di riabilitazione».L'incontro con Benedetto XVI, martedì 28 ottobre in San Pietro, è stato il momento centrale: «Per il "baciamano" c'erano solo 30 posti per tutte le autorità e due biglietti li hanno dati alla Fondazione Bosis: per noi è stato un grande onore. Siamo andati io e Manuel, 25 anni, un ragazzo che ha tanti problemi ma è l'uomo di punta del nostro Gruppo bici. Accanto al Papa c'era il nostro vescovo Roberto Amadei, ci ha presentato lui. Siamo quelli che Benedetto XVI ha tenuto lì più a lungo. Eravamo molto emozionati: non ricordo neppure se gli ho baciato l'anello, so che lui ha abbracciato Manuel, gli ha fatto una carezza, gli ha dato coraggio. Ha voluto sapere della nostra Fondazione. Io mi sono permesso di dirgli: "Santità, noi due siamo qui ma ci sono anche quelli là a metà della navata...", che si sbracciavano. Il Papa mi ha detto che uscendo dalla basilica si sarebbe fermato a salutarli. E così è stato: alla fine piangevamo tutti». Cos'hanno detto di quest'incontro i suoi ragazzi? «Che il Papa è un uomo che emana un bagliore. Era vestito di bianco, la basilica era illuminata a giorno ma loro l'hanno visto così. E poi hanno notato gli occhi: vividi, profondi. Anche a me ha fatto impressione com'era attento a quello che dicevamo». Un viaggio come questo, naturalmente, non si improvvisa. Non si fanno 250 chilometri al giorno in bici, per tre giorni, armati solo di buone intenzioni: «È un anno che ci stiamo allenando» dice Lucchini. «A un certo punto ci siamo detti: il gruppo c'è, perché non organizziamo una staffetta per Roma?». Perché vi lanciate in imprese del genere? «Prima di tutto perché ci piace; ci divertiamo; si soffre pure come delle bestie, perché pedalare in un gruppo simile non è facile: anche noi operatori facciamo fatica, non solo loro. Ma un'avventura come questa per noi è una proposta terapeutica, lo show è quello che ci interessa meno». Lucchini non è un presidente stanziale, in tutti i progetti si gioca in prima persona e anche questa volta, naturalmente, in sella c'era anche lui. «Questa è la cosa veramente importante per noi: condividere con i ragazzi un percorso di vita. Ormai la Bosis è una famiglia più che una fondazione, dove ognuno da quello che può. E alla fine ci accorgiamo che la cosa funziona: i ragazzi stanno meglio». Per persone spesso sfiduciate, rassegnate, ritrovare il gusto di una sfida esistenziale può essere importante: «Quest'anno il nostro Gruppo montagna s'è fatto tutte le Prealpi orobiche e in più il Cevedale e il Gran Zebrù. Il Gruppo Equus è andato con carrozze e cavalli da Bergamo fino in Monferrato. Queste – chiamiamole così – "imprese eccezionali" ci aiutano poi nel lavoro quotidiano, si torna con una carica enorme. Domani, per esempio, anche se il maltempo imperversa usciamo ancora a fare allenamento».Sono partiti da Verdello venerdì 24 ottobre. Prima tappa fino a Casalecchio di Reno, alle porte di Bologna, dove hanno dormito ospiti di un oratorio. Seconda tappa fino a Città di Castello, in Umbria, dove li ha ospitati un convento di Francescani. La mattina dopo giù di corsa fino in San Pietro. A pedalare erano in 14, a volte alternandosi a staffetta: «Gli operatori Armando, Marco, Silvia, Paolo, Ernesto, Cecilio, Alessandro; i pazienti Manuel, Alessio, Matteo, Massimiliano, Riccardo, più Ivan detto "il borraccino" perché ci passava panini e borracce lungo il percorso». Altre 14 persone viaggiavano su mezzi motorizzati, e sostenevano la «logistica»: «Tanti ci hanno aiutato in quest'impresa, dobbiamo ringraziare Cicli Spreafico, la Holding Ambrosini di Brusaporto, ma il nostro vero sponsor è il vescovo di Bergamo: ci aiuta, ci tira anche le orecchie quando è il caso ma crede nel lavoro che facciamo». La sera inscenavano una sorta di «Processo alla tappa»: Lucchini intervistava i protagonisti della giornata e facevano il resoconto: sensazioni, emozioni, problemi; poi un briefing sulla tappa del giorno dopo. Non sono mancati momenti di crisi: «La prima e la terza tappa le abbiamo "mangiate", sull'onda dell'euforia. Ci sono state due forature, un operatore è anche caduto, ha preso una buca e s'è lussato una spalla». Ma il secondo giorno, quando hanno passato Forlì e Cesena e hanno cominciato ad «attaccare» l'Appennino, è stato il più duro: «Quel su e giù per le colline è stato micidiale. Qualcuno voleva abbandonare, ma grazie all'incitamento ce l'abbiamo fatta un po' tutti. È stata un'impresa epica, alla Coppi. Pur di farcela, sabato abbiamo anche anticipato la partenza: eravamo già in sella alle 4, abbiamo pedalato più di tre ore al buio, con davanti il gippone con il lampeggiante che faceva strada». Faceva freddo: «Le crisi sono venute anche a me» dice Lucchini. «È bello, quando siamo in difficoltà noi, vedere i ragazzi che tirano fuori tutte le loro forze per sorreggerci. In quei momenti si sentono meno ammalati, perché si sentono parte di noi».Quando sono scesi dal Colle delle rose e hanno visto il cartello «Roma» sono ripartiti a razzo, giù diritti fino a via della Conciliazione: «Vedere in fondo questa enorme basilica, quel colonnato che si apriva a noi, alle nostre storie individuali e sociali, alla malattia... Le gambe tremavano più per l'emozione che non per la fatica». A Roma non sono andati solo dal Papa. Prima sono stati ricevuti in Campidoglio, dal sindaco Alemanno. «Lo conoscevamo già perché quattro anni fa, quando era ministro, è stato in Pakistan per il 50° del K2 e al campo base c'eravamo anche noi con il nostro Gruppo montagna. Ci ha fatto accomodare nel suo ufficio, che si affaccia sui Fori imperiali. Ha dato alla Fondazione Bosis la medaglia d'oro del Comune di Roma». Mercoledì pomeriggio, dopo la giornata vaticana, l'onorevole Giacomo Stucchi ha fatto da anfitrione e li ha accolti in Parlamento. Sono stati salutati da un gruppo di onorevoli bergamaschi, e li hanno fatti entrare persino in Transatlantico, zona di solito assolutamente off limits : «C'erano un po' tutti: i politici di Forza Italia, quelli del Pd, abbiamo incrociato D'Alema... Stavano ancora discutendo la riforma Gelmini, l'aula era piena zeppa». Li hanno fatti accomodare in una loggia. Gianfranco Fini dal banco della Presidenza della Camera «ha guardato su, si è messo il nostro cappellino in testa e ha interrotto la discussione: «Onorevoli colleghi, sospendiamo i lavori per salutare e ringraziare i ragazzi della Fondazione Emilia Bosis di Bergamo: sono venuti in bici, siamo onorati di riceverli in quest'aula". Tutti i deputati si sono alzati in piedi ad applaudire. È stato un momento molto forte, sentir dire queste parole, a noi… Qualcuno dei ragazzi piangeva. Eh… è stato proprio un "bel manicomio"».

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