domenica 21 dicembre 2008

L'ECO DI BERGAMO 21/12/08 - ALLA CAMERA DI COMMERCIO LA REGIA DELLA CRISI

«Non so se sia una iattura o una semplice combinazione, ma da quando ho assunto le redini della Cisl è iniziato il vero patatrac, questa crisi pesantissima di cui nessuno per ora vede uno sbocco. Pazienza, le grandi sfide mi hanno sempre affascinato». Non si tira indietro Ferdinando Piccinini: da neo segretario generale della Cisl bergamasca, in neanche tre mesi, non è passato giorno in cui sul suo tavolo non siano comparsi una vertenza, un avviso di cassa integrazione, esuberi e persino chiusure di aziende. Un periodaccio, insomma: come si fa a navigare così controvento? «Ci vuole senso di responsabilità, da parte di tutti. D'altronde i segnali di questa mareggiata li cogliemmo già mesi fa nel costruire l'assemblea unitaria su sviluppo e occupazione a Bergamo». Infatti la crisi si è allargata a macchia d'olio. «Dal meccanotessile, al meccanico, dal chimico fino al terziario, comincia ad essere dura per tutti. Ma quello che impressiona di più è la percezione d'insicurezza e incertezza verso il futuro che persino un lavoratore della Albini, della Fassi o di altre aziende con trend più che positivi, ormai prova sulla sua pelle». Miro Radici ha fatto un appello ai parlamentari bergamaschi, perché impegnino il governo ad allargare gli ammortizzatori sociali. «Una misura sacrosanta, che però ha bisogno di tempo. Nel breve ci vogliono segnali immediati, come la conferma che le risorse verranno gestite da Regione e Provincia anziché dallo Stato. Inoltre, le stesse risorse messe a disposizione andranno sicuramente potenziate: il miliardo e 200 milioni di euro messi sul tavolo finora non bastano. Il governo può e deve fare di più». Di previsioni se ne fanno tante, ma voi riuscite a capire quanti bergamaschi rischieranno realmente di perdere il posto di lavoro nei prossimi mesi? «Secondo gli ultimi calcoli, per il 2009 sono a forte rischio diretto 4 mila posti. Quasi duemila saranno quelli coinvolti dalla cassa integrazione in deroga, ma almeno altrettanti sono quelli, ancora più esposti, che non si vedranno riconfermare i contratti a termine, interinali o a progetto. Già oggi alcune fasce d'età come gli ultraquarantenni e le donne fanno fatica a trovare un impiego. Ci vorranno svariati milioni di euro per la sola Bergamasca per far fronte all'emergenza ed è giusto, come sostiene Miro Radici, che l'ombrello degli ammortizzatori possa coprire anche queste figure che in tempi floridi hanno fatto spesso la fortuna di tante aziende. Per quanto riguarda il numero complessivo dei posti di lavoro in pericolo, occorre precisare che ai 4 mila ricordati vanno aggiunte anche tutte le figure professionali che già ora sono in seria difficoltà. Quindi, se dobbiamo quantificare, sia pure in modo approssimativo, l'area a rischio, potremmo arrivare a quota 8 mila. Un dato per ora solo stimato e che, evidentemente, ci auguriamo non possa essere raggiunto». Per gli interinali e tanti lavoratori a termine, il 31 dicembre, data di scadenza di molti contratti, rischia davvero di diventare lo spartiacque verso l'ignoto. «Per farsi un'idea del clima in atto, basti pensare che persino l'Adecco, una delle aziende leader del lavoro somministrato, ha aperto procedure nei confronti del proprio personale. Il mercato è crollato». Si parlava di dati e cifre a volte contrastanti tra loro: ma è così difficile mettersi d'accordo? «Proprio qui sta il punto: manca sul territorio un Osservatorio che fornisca dati precisi con tempestività, in modo da capire dove sono in quel momento le maggiori criticità e provare ad agire di conseguenza. Credo sia la Provincia, dove peraltro l'assessore Giuliano Capetti ha lavorato bene, che debba tirare le fila. Invece qui ciascuno butta fuori dati per conto proprio: l'Università fa la sua ricerca, poi arrivano le stime della Camera di commercio. Ci vogliono maggiori sinergie». Lei parla di sinergie, ma intanto tra i sindacati, dopo l'ultimo sciopero targato Cgil, un po' di gelo è tornato a calare sui vostri rapporti, dopo mesi di collaborazione. «Non nego che qualche attrito ci sia stato: a nostro giudizio, la Cgil, per una sua esigenza di pacificazione interna, ha preferito fare lo sciopero anche contro il parere di Cisl e Uil. D'altronde credo che in un sindacato moderno ci sia sempre meno spazio per una certa ideologia o certi slogan del passato e occorra invece una sempre maggiore aderenza ai problemi reali». Allora, come si riparte? «Ma, in realtà, non ci siamo mai fermati. Un sindacato diviso in un momento così delicato sarebbe una scelta irresponsabile. E poi a livello territoriale, abbiamo condiviso anche recentemente molti momenti unitari. La mobilitazione in Valle Seriana, tanto per fare un esempio, ha mostrato un grande segno di coesione e una forte volontà da parte di tutti, lavoratori e sindacati, di non assistere inermi a questa recessione. Ci vuole grande rispetto e maturità non soltanto tra noi, ma anche tra tutte le altre componenti territoriali». A proposito: il presidente della Provincia Bettoni ha in mente di rilanciare il Patto per Bergamo che a un certo punto il suo predecessore alla guida della Cisl, Gigi Petteni, aveva liquidato con un laconico: «Non serve»."«Un patto "numero due" credo infatti serva a poco. Ora però occorre affrontare in termini nuovi la concertazione territoriale. Mi auguro che la Provincia e i Comuni accrescano ancor di più il loro senso responsabilità, senza contare che c'è una forza che potrebbe aspirare in un momento come questo ad un ruolo di leadership». Quale? «La Camera di commercio. Io la vedo come fulcro e sintesi di tutte le attività economiche del territorio e quindi auspicherei che provasse a rivestire un ruolo di grande respiro, super partes, ancora più operativo». Non è così? «Mah, io per ora vedo questi due blocchi contrapposti al suo interno, queste rivalità tra "Imprese e Territorio" e Confindustria, che non hanno senso in un momento come questo, e limitano le potenzialità dell'ente. Invece la Camera, a mio giudizio, dovrebbe farsi interprete, per il futuro, di un'azione di coordinamento per tutto il territorio. Bisogna superare queste divisioni che limitano l'impegno, remare tutti nella stessa direzione». Anche il presidente Sestini ha dichiarato che la diatriba tra Confindustria e «Imprese e Territorio» gli pare solo una questione di personalismi. A proposito, come dovrebbe essere il suo successore al timone di largo Belotti? «L'importante è che sia una personalità carismatica, che possa unificare e non dividere, che sia davvero espressione di Bergamo e della sua terra. Concordo con Sestini: ce ne sono ancora di questi personaggi, mi creda, e non solo all'interno dell'attuale Camera di commercio». Torniamo alla crisi: ci può indicare tre passi obbligati per tentare di contrastarla? «Sembrerà scontato, ma anzitutto ci vuole più innovazione: soprattutto nel manifatturiero l'arretratezza in molte nostre aziende è palpabile. Poi occorre valorizzare maggiormente il territorio, ad esempio ridando dignità a molte delle aree industriali dismesse. Qui i sindaci dovrebbero farsi maggiormente guidare dalla Provincia, invece spesso vanno in ordine sparso, perdendo delle occasioni per mantenere i propri residenti e lavoratori radicati sul territorio. Inoltre lo Stato o la Regione dovrebbero incentivare maggiormente le nuove aziende intenzionate a insediarsi in quelle aree. Infine è necessario un maggior sostegno da parte dei deputati bergamaschi. Ai sindacati, il 70% dei nostri parlamentari è pressoché sconosciuto». Allora proviamo a fare qualche nome di quelli che invece si danno da fare. «Beh, non credo sia un mistero ad esempio che Giacomo Stucchi, della Lega, abbia fatto molto in passato sul fronte delle problematiche economico-sociali, così come Giovanni Sanga e Antonio Misiani, entrambi del Partito democratico. Senza dimenticare naturalmente Savino Pezzotta, che, grazie anche al suo ruolo nazionale, può offrire un contributo autorevole alla nostra terra». A proposito di governo centrale, la social card sembra aver avuto un effetto limitato. «Intanto, dopo che si era creata una grande aspettativa, tante persone che sembravano poterne usufruire, scoprono di non averne diritto. Ma anche per chi se l'è vista assegnare, non è così facile usarla. La gente è delusa, si poteva trovare un meccanismo più snello per il suo utilizzo, così invece bisogna andare a caccia dei negozi convenzionati: figuratevi l'anziano che vive in Valle Seriana o Brembana e può spostarsi poco: cosa se ne fa?». Molti invocano il federalismo, fiscale e non, come panacea di tutti i mali, altri pensano ad abolire le Province giudicandole enti inutili: cosa ne pensa? «Non vorrei soltanto si passasse da un centralismo romano ad un centralismo milanese. È molto semplice: la Lombardia è una regione con dieci milioni di abitanti, troppi per essere amministrati da un solo ente. Poi tutto è migliorabile: la Provincia di Bergamo, ad esempio, dovrebbe adeguarsi maggiormente al cambiamento. Cito i centri per l'impiego: il sistema informativo è arretrato e soprattutto c'è poco coordinamento con Abf, l'azienda bergamasca per la formazione. In futuro, ai lavoratori in cerca di un impiego o che l'hanno perduto, occorrerà dare risposte più rapide, se non proprio in tempo reale». Anche il sindacato però, nel suo insieme, avrà pur qualcosa su cui deve lavorare per migliorarsi. «Certamente. Insisto sull'aspetto della formazione, perché è legato a filo doppio al concetto di qualità, che deve ancora crescere se vogliamo restare competitivi in alcuni comparti nevralgici della nostra economia. Anche da parte nostra deve aumentare ancora la spinta per convincere lavoratori e aziende, ma un po' tutto l'intero sistema, che l'aggiornamento continuo è uno degli aspetti più importanti. Oggi, invece, Bergamo utilizza all'anno in formazione solo il 50% delle risorse che le imprese versano per questa voce». E dalle banche, che segnali arrivano? «Finora alcune assunzioni di responsabilità sono arrivate: a giorni firmeremo gli accordi per il sostegno alle piccole e medie imprese e sull'anticipo della cassa integrazione da parte degli istituti di credito. Obiettivamente però, in un momento critico come questo, tutto ciò non basta. Mi aspetto maggior dinamismo dal sistema bancario: spetta anche agli istituti di credito, insieme all'industria e al commercio, tentare di far ripartire l'economia». In un momento in cui sarebbe necessaria una grande coesione sociale, arrivano però segnali anche contraddittori: è vero che alcuni cassintegrati preferiscono restare in quella condizione anziché cercare un nuovo lavoro? «È vero, accade anche questo, ma in un momento simile, restare a casa nonostante tutto è estremamente rischioso, perché se prima già si faceva fatica a rientrare nel giro, adesso tutto diventa ancor più maledettamente complicato. Inoltre è un fenomeno che fatalmente si lega alla crescita del lavoro nero, altra piaga, mai debellata del tutto nella Bergamasca». Per concludere, quale sarà l'atteggiamento del leader della Cisl nei prossimi mesi? «Io, per natura, resto ottimista: magari non subito ma a medio termine sono convinto che, se tutti metteranno in campo decisione e senso di responsabilità, anche stavolta Bergamo ha tutte le possibilità per uscire dal tunnel».

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